"Se hai due pani,
danne uno ai poveri,
vendi l'altro
e compra dei giacinti
per nutrire l'anima"
(massima indu')

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Graziella Giovannini

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I confini tra disagio e patologia. Le responsabilità dei settori sociale, educativo, sanitario.

Febbraio 4th, 2011

Relazione al convegno “Per l’adolescenza”, promosso dall’AUSL di Reggio Emilia e da Reggio Children. Reggio Emilia 4 febbraio 2011

 1-     Oltre le tentazioni: il riconoscimento di alcuni diffusi orientamenti

La prima tentazione, di fronte al titolo “I confini tra disagio e patologia” è di quelle  da cui liberarsi. E’ la tentazione, intrinsecamente sociologica, di riflettere sulle rappresentazioni di “disagio” e “patologia”, sul significato e l’esistenza di “confini”, sul perché parlando di adolescenza ci focalizziamo sui problemi che essa presenta.

Mi viene da chiedermi (non è un interrogativo nuovo, ma da declinare rispetto al contesto mutato): il disagio, la patologia, la sofferenza, sono una prerogativa dell’adolescenza? Con caratteristiche identificabili specificamente in relazione all’età? E sono una esperienza distintiva, inevitabile, da attendersi in ogni adolescente? Comunque e sempre? O siamo anche di fronte ad una profezia che si auto-adempie, che entra nella testa di ragazzi e genitori ed è la tranquillità a diventare essa stessa patologica?

Tentazione da evitare, che ci chiederebbe di ragionare sui cambiamenti nel ciclo di vita, sulla possibilità di tracciare chiari confini  tra i comportamenti e i problemi delle varie età.

Di introdurre ragionamenti sulle adolescenze altre  (immigrati) e vissute altrove (mondo virtuale).

 La lascio lì, sullo sfondo e assumo come riflessione di partenza  quello che uno dei padri del moderno welfare sosteneva: perché un processo  diventi oggetto di una politica pubblica (non statale!) è necessario che sia riconosciuto socialmente come problema e che sia legittimato .  R. Titmuss, in Saggi sul Welfare State, Edizioni Lavoro 1986 (ed or. 1963) scriveva:

“Tutti i servizi forniti collettivamente sono intenzionalmente destinati a soddisfare certi “bisogni” socialmente riconosciuti; essi sono manifestazioni, in primo luogo, della volontà della società di sopravvivere come tutto organico e, in secondo luogo, del desiderio esplicito della collettività di aiutare una parte della popolazione a sopravvivere.” (p.49)

 Così è per le azioni che da qualche decennio (In Italia) stiamo pensando per gli adolescenti  ( anche nel titolo del convegno troviamo “per” ): nascono dalla individuazione di problemi riconosciuti tali dalla società e legittimati ad essere affrontati con pubbliche risorse. 

Non solo le diagnosi, ma anche le  pratiche da porre in essere  e le responsabilità degli attori si collocano in un qualche modo in una cultura che in buona sostanza presiede al riconoscimento dei problemi, ne legittima l’importanza per la società,  interviene anche nella distribuzione delle risorse.  Una cultura che va riconosciuta e il più possibile  resa oggetto di riflessività comune, prodotta in parte anche dagli stessi operatori di cui si discute in questo convegno :  operatori dei settori sociale, educativo, sanitario.

 Anche se oggi questa cultura è fortemente frammentata e, anche, conflittuale, credo che possiamo concordare  che nel pensiero degli ultimi decenni sono diffusi e ampiamente condivisi sul piano generale tre orientamenti (tra gli altri):

  • esiste una processualità tra prime manifestazioni di disagio  e patologia : più riusciamo ad intervenire in anticipo, in modo dinamico, più riusciamo a  interrompere la destinazione “patologia”: il mito della prevenzione.
  • Ancora meglio della prevenzione è la promozione, il supporto alle  situazioni tutte per evitare anche il manifestarsi  delle difficoltà.
  • C’e’ stata – e resiste tuttora- una attenzione crescente alla soggettività, alla persona e ai percorsi e alle caratteristiche del sé, alla libertà individuale.  Certamente un orientamento  importante che ha fondato anche la promozione dell’activity e dell’autonomia dell’individuo.  Vale la pena di sottolineare che i  termini “disagio”, “benessere”, “clima relazionale” sono ascrivibili a questa temperie , che ha comportato anche una crescente analisi in termini psicologici e psicoterapeutici dei problemi e delle difficoltà.    

       2- Carte scompigliate: le variabili strutturali riaffermano il loro peso.

Ho tracciato un quadro certamente riduzionistico, ma mi serve  per ragionare, come ci è chiesto, sulle responsabilità dei vari settori. Lo farò concentrandomi sugli attori educativi (in primis la scuola) e sui servizi socio-educativi, che sono il mio ambito specifico di conoscenza, cercando di cogliere quali sono i principali elementi con cui   le responsabilità si devono confrontare.  

Ritengo tuttavia che alcune considerazioni possano essere valide anche per altri contesti.

 Negli ultimi decenni abbiamo ricompreso dentro al termine “disagio” adolescenziale anche quello scolastico, considerandolo parte importante dei disagi complessivi della persona, definito di volta in volta come origine o conseguenza di questi ultimi.

In larga misura il termine “disagio” è diventato centrale, mentre si sono offuscati altri che erano stati al centro del dibattito sull’esperienza scolastica nei periodi precedenti: selezione scolastica, dispersione, disuguaglianza socio-culturale. L’attenzione si è rivolta in maniera crescete alle caratteristiche di personalità, alle motivazioni, alle emozioni, al clima relazionale.

Sono oggi in atto processi di varia natura che complessivamente  tornano a riportare in primo piano i fattori  strutturali legati all’accesso e alla riuscita. Faccio riferimento alla mondializzazione dell’economia e al conseguente aumento della competizione internazionale in materia di innovazione e di capitale umano, alla temperie neoliberista imperniata sul merito individuale, alla presenza crescente di studenti di origine immigrata nelle scuole e alle problematiche relative al loro inserimento.

 Non si tratta più solo di fattori legati alla collocazione socio-economica  delle famiglie di provenienza .

Per tutti, italiani e non, si evidenzia l’importanza del capitale sociale e culturale  del territorio e non solo quello famigliare. Le statistiche  Ocse e Invalsi relative agli apprendimenti degli studenti ai vari livelli di scuola  mettono a fuoco in modo particolare le differenze regionali della riuscita scolastica.  Ricerche locali chiariscono l’incidenza delle risorse a disposizione per il diritto allo studio nei vari territori, l’importanza della ricchezza di istituzioni e associazioni nel contesto attorno alla scuola e alla famiglia, la capacità della scuola di fare rete con la comunità.

A tutto ciò si aggiunge negli ultimi anni la realtà della nuova grande crisi che coinvolge  chi vive in Italia  come lo scenario internazionale. Una crisi finanziaria, economica, occupazionale  che tocca non solo le fasce della povertà conclamata, ma raggiunge  in Italia i ceti medi  e rende ancora più difficile la situazione degli immigrati, anche di quelli regolarmente presenti nel nostro Paese.

Il welfare, già da tempo oggetto di rivisitazioni e “cure” orientate anche  a ridefinire ruolo dello Stato e degli attori sociali,  si trova a confrontarsi in maniera quotidiana con i “tagli” delle risorse finanziarie a disposizione. E’ ben noto che le politiche socio-educative sono parte significativa di questo processo, con pesanti ricadute sulla possibilità di mantenere i livelli raggiunti di diritto allo studio per tutti. 

 Solo un esempio tra i tanti che si possono citare:   sul Corriere della sera di martedì 1 febbraio Silvia Vegetti Finzi  ha pubblicato un articolo su : Il taglio dei corsi di recupero. Così si espellono gli adolescenti.  I finanziamenti per i corsi di recupero erano 210 milioni di euro al loro nascere nel 2007. Sono in questo anno 43,5 milioni.

 In tempi di vacche magre, sono inoltre a rischio anche i due principi della prevenzione e della promozione : fino a che punto si riusciranno a preservare azioni a questo orientate in presenza di diminuzione di risorse disponibili?

 Tutto questo per dire che è importante  non  confondere i livelli di lettura e di intervento e per non dimenticare che ci sono fattori strutturali che resistono e, anzi, tornano a ripotenziarsi .

 Con attenzione alla scuola e alla formazione in generale, oltre alle questioni già evidenziate  relative alla  disuguaglianza e al diritto allo studio, occorre affrontare :

-La questione dell’orientamento, per il quale abbiamo  modelli di intervento fermi agli studi della Pombeni, mentre le adolescenze e il mondo del lavoro continuano a cambiare.

-la questione delle riforme scolastiche in perenne turbolenza : come non essere in disagio?

-La questione della disoccupazione giovanile (l’incertezza non si supera solo con il pensare positivo…)

         3- Carte da scompigliare : qualche rivisitazione del modello educativo

Si tratta di processi  a più lunga scadenza, che richiedono tutta la pazienza di nuove ricerche e di nuove elaborazioni, indispensabili , come sempre del resto, per rapportarsi alle nuove generazioni.  (Ma  qualche esperienza socio-educativa già sta facendo emergere  nuove piste di azione).

 Anche qui  alcune priorità:

  • E’  necessario spostare l’accento dall’individuo alla “persona”, caratterizzata contemporaneamente da unicità e da relazioni/vincoli contestuali. Non è un pensiero nuovo, ma va tradotto in pratiche educative (non parlo dei percorsi individualizzanti….) certamente difficili in un’epoca di mitizzazione pubblica delle libertà. Un pensiero che deve rivedere per l’oggi  le relazioni educative con riferimento alle questioni dell’autorità e dell’autonomia, dell’impostazione trasmissiva o costruzionistica dell’educazione, della creatività e dell’adattamento.  Un pensiero che può cambiare anche le terapie del singolo?
  •  La elaborazione delle politiche e delle pratiche socio-educative deve assumere la consapevolezza che esiste  un generale problema di tessitura sociale e che proprio questo   è per molta parte alla base dei problemi che si devono affrontare o della difficoltà a trovare soluzioni efficaci. I legami sono  questione sociale di questa nostra contemporaneità e questo si manifesta in modo molto forte nella condizione dei minori e delle famiglie. La sacrosanta attenzione alla persona e alla sua centralità (la prospettiva dei Diritti) va coniugata con la cura delle tessiture e la produzione di fiducia, risorsa scarsissima anche nelle relazioni tra le diverse agenzie e i diversi servizi che si occupano di adolescenti.
  •  Nelle azioni per/con gli adolescenti, l’attenzione ai loro bisogni  va coniugata con l’attenzione alla responsabilità sociale (non solo quindi verso di sé) degli adolescenti stessi. In sostanza, la promozione del sé va coniugata con la capacità di decentramento e di attenzione alla cura degli altri, alla cura della comunità, alle relazioni intergenerazionali. L’impegno sociale non scatta magicamente con la maggiore età e l’imposizione normativa. E la cura degli altri può essere  ingrediente importante della cura di sé (evita auto compassioni,  autocentrature eccessive, depressioni..)
  •  Anche l’activity, il protagonismo non nascono magicamente. Forse non basta insegnare buona metodologia (come informarsi, il problem solving, competenze per decidere…). L’activity ha bisogno di  proposte con cui confrontarsi. Proposte serie. Sfidanti. Praticate dagli adulti e non solo predicate.  E qui gli adulti non possono tirarsi indietro e nascondersi dietro al principio della libertà del ragazzo.

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